venerdì 6 giugno 2008

Magnolia Nera

Se il noir è una sensazione, una semplice atmosfera, questo racconto vuole essere quella sensazione, privata del tessuto criminale.

Non c’è solitudine più grande di quella di un samurai,
se non quella, forse, di una tigre nella foresta.
Meville, Le Samourai


Cazzo. Questo per mettere in chiaro le cose.
Diego si svegliò e si trovò sdraiato sul divano, sudato come solo quel maggio invernale poteva far sentire. Il freddo dentro, il freddo fuori, ma la maglietta appiccicata alla schiena.
Elly, Elisabetta, gli aveva dato un puntello per quella sera, aggiungendo un particolare appetitoso: alle 21 alla birreria belga di Niguarda, una pinta veloce, poi sarebbe andata a ballare. Con Veronica. “Che ore sono”, balbettò Diego Gattarossa detto il Gatto, intravide i cristalli liquidi del videoregistratore che segnavano le otto e mezza, troppo tardi, tardi per una doccia, tardi per poter cenare – quanto tempo era che saltava i pasti smarrito in quel vortice di impegni? – giusto il tempo di lavare i denti ed uscire ed infognarsi la bocca di nuovo con una Italiana blu. Si muoveva a piedi, solo a piedi. O in bici, ma quella sera sperava. O con l’autobus, ma se non voleva una compagnia era quella fetente e colorita dei mezzi pubblici.
Di buon passo, tabaccaio, poi dentro il parco che costeggiava via Enrico Fermi, la strada che portava via da Milano, via dalla sua amata prigione. Non voleva evadere, voleva risolvere. Non era nato per rivoluzionare l’Inferno, forse, ma almeno voleva tentare di spegnere le fiamme del suo girone. Gli eroi del nero sono sempre soli contro il mondo. Lui era solo. Contro sé stesso.
Elly gli voleva bene. Gli voleva bene un po’ perché gli voleva bene il suo ragazzo, Frankie, un nome del cazzo per l’antagonista più in gamba e più buono di Milano, un’occasione persa come tutta la sua generazione. E gli voleva bene perché non era difficile provare affetto per il Gatto: disponibile, gentile, cortese in Pace, spartano in Guerra. Divertente in entrambe i casi.
Elly gli aveva presentato Veronica, qualche settimana prima. Così, per caso. Al Rebelot, il mercato dell’auto-produzione sul cavalcavia Bussa, in Garibaldi. Nonostante le guerre, il Gatto continuava a bazzicare nel circuito. Da indipendente. Veronica era uno sguardo. Uno sguardo magnetico, profondo. Uno sguardo che vibrò negli occhi e nel petto del Gatto per un istante dal sapore infinito, scuotendolo da un torpore incosciente, ridestando i meccanismi di un orologio dei cui ticchettii ormai s’era dimenticato.
Veronica aveva qualcosa, negli occhi, e quella prima sera quegli occhi s’impressero nelle retine e nella memoria di Diego, incisero la corteccia cresciuta intorno al suo cuore, come respirare di nuovo dopo anni di apnea e poi reimmergersi subito nel mezzo grave d’uno stagno d’autunno.
Forse era il modo in cui li truccava, Diego cercava una via di fuga. Per questo questa sera allungava il passo verso l’appuntamento con Elly, ma soprattutto con Veronica, possibile, si chiedeva, possibile che quegli occhi esistano davvero?
La birreria belga, lo Scott Joplin – dal nome del compositore del motivo della Stangata – festeggiava il suo primo compleanno. Gremita di gente, fiumi di birra spillata in plastica e in vetro. L’appuntamento alle nove si risolse con l’arrivo di Elly alle dieci.
Elly fingeva di essere contenta che Frankie fosse via per lavoro. Via il gatto, la topa sballa. Ma non era felice. Non del tutto. Stavano insieme da anni, e l’amore è qualcosa che con la continuità diventa necessità. Non abitudine, quello è affetto. Amare significa essere destabilizzati dalle distanze, incompleti, due magneti che anche a milioni di chilometri di distanza si attraggono. Elly si sentiva così. Felice, in serata, incompleta.
Veronica, disse Elly, aveva lasciato il suo ragazzo pochi mesi prima. Perché era finita. Semplicemente. Diego non fece domande, ma lasciò correre l’immaginazione su un campo minato, e la vide esplodere in mille frammenti di domani possibili.
Veronica arrivò alle undici. Bevvero, e tanto, Diego beveva dalle nove, acuendo la sua fragilità, scoprendo che non v’era trucco né artificio negli occhi di Veronica. Erano tutto, tutto ciò che volesse, tutto ciò che avesse cercato, dentro avevano un mondo meraviglioso che solo le vibrisse del Gatto potevano riconoscere, percepire, ed il mondo di un uomo è la sua vita, e tutto girò vorticosamente intorno e dentro la testa di Diego, e non era la birra, e non era il tabacco, erano gli occhi di Veronica, e Veronica non l’avrebbe mai saputo, forse, non l’avrebbe mai capito, erano gli occhi di Veronica. Brillavano pietre scure provenienti da tempi perduti, smarriti, dipinti nei sogni dell’uomo, di un uomo, la luce, il calore, il terrore, il terrore. Perché quando incontri degli occhi, la solitudine ti si fa stretta d’accanto, t’abbraccia gelosa, possessiva, ossessiva, il terrore d’abbandonarla, il terrore di tornarle tra le braccia un giorno.
Veronica voleva ballare, per sentirsi vivere. Elly voleva ballare, per non pensare a Frankie. Il Gatto detestava ballare, ma voleva seguire quegli occhi. Montarono in macchina, direzione Magnolia. Dall’altra parte della città. Milano era un impero caduto di fronte alle legioni della notte, un impero di ruggini e umidità, asfalto e carne e lamiera. Lampioni freddi e tabaccai. Linate, l’aeroporto, luci nel nulla, una scatola vuota animata da neon ghiacciati in un luogo che non c’è.
Il Magnolia è un locale, un circolo Arci a Linate, all’Idroscalo, un posto alternativo per alternativi che vogliono omologarsi al divertimento in maniera alternativa. Entri in un prato, percorri un vialetto, un buttafuori ti intima di mostrare la tessera, se non ce l’hai ti invita a compilarla, poi entri nel tempio. Il popolo della giovane notte celebra riti revival tracannando litri di alcool, caricando cannoni a decine nello spazio all’aperto alle spalle del locale, la musica pulsa non eccessivamente alta nei timpani, risate, sorrisi, voluttà, cento tribù si radunano ad ascoltare Nirvana, Elio, Queen, Renato Zero ed il duo da mondiali Nannini-Bennato. Metallari, indie rock, dark, punk crestati, emo, brit, mods, glamours, rockabillies, figli di puttana e addirittura ragazzi normali si accalcano, s’amalgamano, si spargono in quel regno nascosto e accogliente, controllati a muso duro da cordiali uomini della sicurezza in nero, slavi, italiani, africani. Veronica ballava. Ed il Gatto non sapeva far altro che guardarla. Non sapeva distogliere la mente da lei. Ed Elly tampinata da un bellimbusto simpatico e carino.
La magnolia sfiorì, s’accartocciarono i petali sotto la luna calante, scomparve, gli agenti della sicurezza sfollarono il pubblico, neanche pisciare potevi più, fuori, si chiude, che sono le 4. Elly s’era trovata appiccicato al culo questo Niccolò, Veronica notò che Diego non si vedeva da ore, dall’ingresso nel locale, lo recuperò ed uscirono assieme.
“Dov’eri finito?”
“Oh, niente, ho dato un’occhiata in giro, sai, non vengo mai in posti così, sono venuto solo perché non potevo non seguire due ragazze così belle…”
“Scemo!”, sorrise, e nel sorriso d’Veronica stava la fine, la testuggine di scudi sul cuore del Gatto, colpita nel punto critico, s’infranse di fronte a quel semplice, lusingato, sorriso. “E adesso la Elly dov’è?”
“Guardala, è là, mi sa che ha trovato compagnia, ma se quel tipo non smette di broccolarla mi sa che mi tocca menare le mani…”
“Uh, sei un duro… maschilista del cazzo!”
Il Gatto si disse, ma porca puttana, ora l’ho fatta sorridere e subito la faccio incazzare, era spiazzato, poi lo sguardo di Veronica s’incupì, divenne triste, malinconico. Disse: “Lascia che si faccia broccolare. È dura per lei non avere qui Frankie”
“Ma Frankie torna domani sera!”
“Ma ora non c’è. Non puoi sopravvivere neanche un minuto col cuore a due metri dal petto, no?”
Diego capì. Non accettò, ma comprese. Certo se c’era da pisciare sul territorio di Frankie, l’avrebbe fatto. Solo che non lo disse più.
Niccolò li invitò tutti a far colazione a casa sua. 37 mq a Famagosta. Un’altra Milano, rispetto ad Affori e Comasina. Il Gatto lo teneva d’occhio, ma lo trovava simpatico. Camicia militare, barba di due settimane, standard antagonista milanese. Un Cattaneo originale appeso alla parete, un sacco di vecchi Urania, conquistò Diego con le 3 cose che una donna non potrà mai capire: “Gli scacchi, la fantascienza, e l’ironia.”
Veronica strillò, “Non è vero, cioè, le prime due sono vere, ma non è vero che noi donne non capiamo l’ironia!”
“Vedi che non la capisci!”, disse Niccolò, e scoppiarono tutti a ridere.
Il piccolo appartamento era arredato con gusto. “Si. In realtà dovevamo venirci a vivere in due, cioè, siamo venuti a viverci in due. Per un po’. Poi lei se n’é andata, ma l’arredamento è merito suo…” sorrise, amaro, Niccolò.
Quattro solitudini diverse radunate su due divani neri, come la notte che li attendeva col sorgere del sole. L’amante distante. L’amante perduta. L’amore finito. L’amore sognato.
Il caffè fu amaro, lo zucchero rimase tutto incrostato sul fondo. Niccolò rimase da solo nel suo appartamento dopo l’inutile assedio al cuore assente di Elly. Veronica guidò l’auto e lasciò che Elly salisse da sola in casa ad attendere il ritorno di Frankie. Diego godette degli ultimi minuti con Veronica, doveva chiederle il numero, chiederle se le andasse di rivederlo. Da soli. Si fece lasciare su un marciapiedi di Affori, a caso. La guardò allontanarsi per tornare a casa con l’auto. Poi si avviò a piedi. Non le aveva chiesto niente. Gli bastò sapere di essere ancora in grado di sognare.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

ancora nessun commento...va bene commento io, anche se in realtà abbiamo già parlato a voce di tutti questi racconti. credo che il mio preferito sia quello della ragazza che incontra la morte...che vive con il dingo e con il gatto...forse più per amore per questi personaggi, forse perchè so dove sono nati più che per altro. o forse perchè è proprio bello.
quello con gli zoombie...beh sai che gli zoombie nn mi convincono mai, ma come dio-scrittore, come al solito, riesci a concederti le cose più assurde in modo plausibile. e poi mi sento inevitabilmente coinvolta in queste righe.
In quest'ultimo racconto invece non mi sento assolutamente coinvolta..ma è bello, mi piace...è dolce...lo sai!
ora manca solo il racconto erotico...so che lo aspetta anche puccio trepidante. ;)
e infine...grazie per tutti questi tuoi blog...
ma mi raccomando nn trascurare il secondo vangelo della kebab generation!

Anonimo ha detto...

Cosa trasforma un giallista in un esistenzialista?

Anonimo ha detto...

dov'è il noir? qui c'è solo Federico Moccia.
..non basta scrivere "..seduti su due divani neri come la notte.." per dare il senso del noir..
Il tizio, Niccolò, non stava cercando di entrare nel cuore della Elly (la Elly?????!!!)ma nelle mutandine della suddetta..ripeto: dove diamine è andato a finire il noir?
"post-adolescenti che vanno una sera al magnolia", un racconto di f.gallone...mavvafanculo

Anonimo ha detto...

ciao.
non è il nero che rende l'atmosfera del noir. è la solitudine. con maggiore attenzione avresti intuito che il punto di partenza è una citazione del re del noir. con maggiore attenzione avresti colto alcuni rimandi ad Izzo. con maggiore attenzione avresti colto l'atmosfera, il senso, il concetto ed il sentimento del noir.
o almeno del mio noir. se esiste una concezione regolamentata del noir, bene, me ne fotto. allora questo racconto rientrerà nel genere Gallone. come milano è un'arma. e pensa, posso farlo. sai perchè? perchè me ne fotto. e sai perchè? perchè non sono noir, punk, thriller, pulp, hc, dandy, non sono neanche laureato perchè i titoli non mi interessano. sono Gallone. a me va bene così.
comunque, il discorso è complesso, nei racconti si sperimenta e servono a creare il mosaico che sono le vite complete dei personaggi. questo racconto è esattamente come lo volevo scrivere, col ritmo a cascata, l'assenza di crimine, la notte milanese, e l'assoluta solitudine in cui ci abbandona la vita. questo è noir per me.
a presto, non prendertela, continua a leggere Moccia per provare astio e frustrazione, e se ho capito chi sei, prendi un tranquillante, una birra in compagnia, se vuoi anche mia, ma dai proprio l'impressione di un insoddisfazione amara, molto noir...
con affetto,
francesco

Anonimo ha detto...

"insoddisfazione" è singolare-femminile; perciò si scrive "un'insoddisfazione" con l'apostrofo..ma, è vero, tu puoi scriverlo anche senza, e sai perchè? perchè tu te ne fotti,perchè tu sei Gallone!
ah..!

ghallonzronin ha detto...

che apostrofe!

boris borgato ha detto...

Caro Francesco, come ti dicevo la gente non capisce un cazzo, qui ne hai avuto la porva col commentatore anonimo!
Che magari è stanco delle seghe e attacca a scrivere qui.

Non basarti troppo sul web per i lettori.
E' un consiglio che puoi benissimo rifiutare!

Ciao
Boris

Anonimo ha detto...

olè,pagine polemiche, voglio dare anch'io il mio contributo:
"...io una volta mi son fatto la Elly, era amica di Willy, aveva un gatto di nome Polly, poi mi ha lasciato per un Rock-a-billy, non ci siamo più sentiti, ma mi ha fatto un paio di squilly...yea"

c'ha ragggione borius, la gggente non capisce mai un cazzo di gggniente!

evviva le seghe con internet!!!

vai Gallonz, stampacene un altro!

negretto permalosetto, R.

Anonimo ha detto...

Anonimo, sei un povero coglione. Primo, perchè non capisci un cazzo. Secondo, perchè è facile insultare senza identificarsi. Terzo, perchè sei un povero ignorante che si basa sull'inciampo nella tastiera per decidere se uno sappia scrivere o meno. Oltretutto, TU hai scritto "mavvafanculo" con una sola f. Bestia! Non fai bene a nessuno, saresti buono solo come concime.
Alessandro

Anonimo ha detto...

L'anonimo polemico che anche lui inciampa nella tastiera dice:
"dai diamanti non cresce niente, dal letame nascono i fior".
L'autore di codesto blog mi aveva già risposto, non capisco perchè altri sconosciuti si accaniscano contro di me, senza essere stati invitati perdipiù. Anche se vi firmate io non vi conosco, quindi il risultato è comunque una forma di anonimato, scrivetemi il vostro indirizzo piuttosto..
Caro Alessandro G. hai ragione. Mi permetto però di farti notare che "mavvafanculo" aveva un accento calabrese, e se provi a pronunciarlo con una certa aspirazione risulta con una sola "f"...certo, si potrebbe disquisire a lungo sul termine "scorreggia" "scureggia" ovvero "scoreggia"..ma perchè? Se uno è polemico e non c'ha un cazzo da fare, tranne che muovere critiche ad un raccontino che non gli è piaciuto, non deve dare poi conto a nessuno..eppoi sull'intestazione della pagina c'è scritto che il commento è libero, ed io mi sono espresso liberamente, oppure ho sbagliato perchè la libertà era solo quella di commentare positivamente?
Dimmi tu.
Allora, caro Alessandro G., quella non è più libertà, e basta poco per bloccare i commenti sgraditi.
Quindi? Ribadisco il concetto, il racconto mi è parso una sorta di piccola sbavatura post-adolescenziale scritta male (di cui non contesto il senso, percarità) e non mi è piaciuto, e visto che quel giorno you-porn non mi ha soddisfatto ho sbrodolato qui la mia spremitura di palle, la vita è bella proprio per questo, c'è a chi piace, c'è a chi no, il resto è regime.

L'anonimo, che tanto interesse ed astio desta in chi è veramente incazzuso

p.s.: chiunque, prima o dopo, ha urlato contro una nuvola nel cielo, convinto che fosse la responsabile delle proprie malvagità interiori,sbagliando; ma chi si pone come giudice delle azioni di quel disperato urlatore è pur peggiore del medesimo.