giovedì 23 ottobre 2008

Salamelle Al Sangue

Con questo racconto su commissione fallimentare, rendevo omaggio a Marco Philopat ed alla sua prosa punk/discorsiva.

Diego Gattarossa entrò nel parco. Quel luogo per lui era un paradiso ai confini tra i mondi, il luogo dove rigenerarsi da tutto il male che può farti la Metropoli intorno. Ed il parco è una Piazza.
La teoria delle Piazze è molto più complicata di un problema architettonico, o urbanistico. La Società è anti-sociale. Le istituzioni tolgono spazi di espressione, chiudono i Centri Sociali, recintano i giardini, videosorvegliano marciapiedi e parcheggi. Il loro interesse sembra essere che quando il popolo si riunisce, non comunichi: vengono concesse le discoteche, i pub dalla musica altissima dove non parlare ti costringe a consumare. Ma questa è un'altra storia. Nella nostra, dobbiamo assumere il presupposto che il Parco sia una Piazza, un luogo di incontro, espressione e comunicazione. Dove si creano compagnie di sbandati, di studenti, di dopo-lavoro, di sportivi. Dove un cannone caricato a Super-Polline può riunire tribù diverse, dove un pallone può schierare fianco a fianco tutte le razze e tutte le religioni. Dove si creano piccole famiglie.
Il Gatto, attraversò lo spiazzo davanti alla biblioteca di Villa Litta, a Milano, aggirò l'edificio che dominava il resto del parco e si diresse ai portici posteriori, dove si riunivano un tempo i Cattivi Ragazzi. Non trovò nessuno. Pensò, avranno cominciato a lavorare, fece scorrere la cerniera del chiodo e dalle tasche interne estrasse il tabacco. Inglese Giallo. Mentre rollava la sigaretta in attesa di qualcuno, di chiunque, notò il murale nuovo, non era uno di quelli pasticciati dai mocciosi educati a fare i microcriminali da televisioni e telegiornali. Aveva qualcosa di sacro. Si avvicinò al graffito: due nomi. Filo e Pat. Ed una foto. Ecco cos'era quell'impressione sacrale, la foto!
“Quello a destra sono io – ma lo sai – mi conosci, Gatto – sono Filo - ti ricordi? - là in collina – a fumare i lotti”
Il Gatto guardò la foto da vicino. Li conosceva tutti e due. Due bravi ragazzi, due Cattivi Ragazzi.
“Che cazzo ci fa la vostra foto qui, Filo?”, chiese il Gatto accendendosi la sigaretta appena confezionata.
“No niente – brutta storia, zio – quello è Pat – te lo ricordi Pat? - è stato settimana scorsa – eravamo al parco – volevamo tornare in Thailandia – sai la Thailandia – ci siamo stati a gennaio – è una figata – non si spende un cazzo – sei trattato come un signore – altro che la vita di merda che fai qui – lavori non ti pagano – ti pagano poco e un cazzo – le fighe se la menano – e tutto costa un sacco – una birra 5 euro – e c'è il tempo di merda – il cielo grigio – invece in Thailandia – la natura – ci son gli atolli – sei completamente libero – la gente ti rispetta – hanno anche il fumo buono – ganja – ma ti stona, giuro zio – e poi hanno tutti 'sta borsettina attaccata alla cintura – dentro tengono delle foglie – Bantom si chiamano – loro le arrotolano e poi le masticano – e succhiano – bamba – giuro – effetto cocaina – le masticano anche i vecchi di settant'anni – fanno dei salti – li vedi correre – e poi c'è la strada del sesso più grande del mondo – quanta figa – che giocattolini – ci sono i ragazzini che ballano in perizoma fuori dai locali – arrivano 'ste ciccione australiane – belle piene di birra – li prendono per mano – gli mollano 50 dollari – e se li portano – le vedi belle felici – con le guance rosse – le ragazze sono dei giocattoli – da non credere – e ti vengono a cercare loro – fanno di tutto – te la cavi con pochissimo – se le dai da mangiare te la puoi anche portare con te in giro per un mese – e quella si fa schiacciare in ogni maniera – ce n'era una coll'inguine tatuato – ce la passavamo – a gennaio – ci siamo stati a gennaio...”
Il Gatto ascoltava assorto fissando la foto, e quasi non s'accorse che il monologo di Filo s'era dissolto. Si voltò a guardarlo, era pallido, scavato, assente. Bravi ragazzi, ma ogni tanto qualcuno si faceva prendere. Dalla cocaina, dalla robba, dagli acidi, emme-di-emme-a, l'alcool. Quelle fughe fallimentari dalla propria fragilità. Il Gatto chiese: “E allora, che è successo?”
Filo riprese, con voce roca per i troppi cylum: “Niente – che è successo? - niente – volevamo tornare in Thailandia – ma non avevamo una lira - e Pat dice – cazzo lo so io come fare – lo guardo e chiedo – Come pensi di fare? - E lui – te lo ricordi il baracchino dei panini al Castello Sforzesco?”
“Noi ce lo ricordavamo – certo – quel figlio di puttana – un po' di tempo fa' ci ha fregato i soldi – noi paghiamo dieci euro – gliene diamo cinquanta – lui non ci dà il resto – noi glielo spieghiamo – in tutti i modi – lui chiama gli sbirri – ci trovano un po' di coca addosso – giusto due tre pezzi – forse sei – non più di dieci – cazzo era sabato – e gli sbirri ci sequestrano tutto e ci portano in questura - E allora che vuoi fare Pat – chiedo – e lui – prendiamo delle pistole finte e verso le sei del mattino ci facciamo dare l'incasso – non si fa male nessuno – e rubiamo i soldi ad un ladro – quindi è giusto no? - e ride... - e mi lascio convincere – alla fine quello dei panini ci sta sulle palle – quello farà due-tremila euro di venerdì notte – tra quel poco che abbiamo ed il malloppo ce ne andiamo in Thailandia e poi lì si vede – magari troviamo qualche vietnamita – quelle incrociate con gli americani sono delle fighe da paura – vabbèh – insomma – mi lascio convincere – ce l'hai una sigaretta per me zio?”
Il Gatto si voltò verso Filo, lo osservò tirare su la paglia con le dita, chiudere la cartina con la lingua, accenderla, aspirare, e sbuffare il fumo dalla gola. Dal centro della gola. Un buco enorme esattamente nel centro della gola. Ci vedeva da parte a parte.
“E allora alle cinque andiamo al Sempione – ci facciamo un paio di canne – e poi pezziamo un paio di grammi di coca a testa – abbiamo 'ste pistole – sembrano vere – le abbiam prese in un negozio di modellismo in Porta Venezia – alle sei del mattino pompiamo i Club Dogo nello stereo della macchina – arriviamo al baracchino del bastardo – ci infiliamo i passamontagna – tiriam fuori i nostri giocattoli e li puntiamo – TIRA FUORI TUTTI I SOLDI FIGLIO DI PUTTANA – ti giuro zio – quello si è pisciato addosso dalla paura – noi a momenti ci pisciamo addosso dal ridere – Pat colpisce la vetrina dei panini e la spacca – il tipo trema – trema di brutto – bastardo – Pat fa per salire sul camion – il tipo gli passa i soldi dell'incasso – Pat lo afferra e gli punta la pistola in bocca – ma giuro cazzo è finta quella pistola – PAM! - sento solo il suono – la faccia di Pat che si stacca dalla testa – il sangue che schizza sulle salamelle – il passamontagna che trattiene i fiotti – lo vedo ed è l'ultima cosa che vedo – da vivo – l'ultima – un cazzo di vecchio a spasso col cane – alle sei di sabato mattina – girava col cannone in tasca – ma un cannone vero – mi spara al collo – resto cosciente per un po' – muoio dissanguato che non chiamano l'ambulanza – chiamano gli sbirri – ed ascolto il vecchio – perché porta il cannone - dice che non ci si può fidare – dice che questa gioventù è una merda – è vero – questa gioventù è una merda – è una merda viverla – è una merda perderla... Bella zio – ci si becca – qui – o in un'altra vita”
Qualcuno, alla fine, c'era arrivato, al parco, al ritrovo. Qualcuno che aveva bisogno di raccontarsi, di esprimere quel che non aveva più dentro. E poi era scomparso dissolvendosi nel fumo della paglia che Diego Gattarossa, detto il Gatto, aveva acceso per riuscire a digerire quella storia. E che l'unica cosa di cui aver paura, è la paura.