Dedicato a chi c'era davvero in quella sera vera (Mitch, Spiwi, Seps, Toni)
Sento l'odore del sangue rappreso e la pelle tirare, mi tocco il naso e sfiorandolo duole, lacrimo quel dolore rigando di gelo il mio viso e le lacrime bruciano nelle fessure solcate dal freddo e, sì, dai cazzotti.
È la notte di Natale ed irrequieto ancora barcollo per strada, due passi per scacciare quella maliconia che suole venir per le feste, il fantasma dei natali passati, lo spettro incombente del natale presente, un natale senza presenti, colmo di assenti. Ritrovo lo spirito in una bottiglia di grappa, mi disgusta ma condividerla con chi te ne offre la rende corroborante, sotto la pioggia scrosciante, nei portici di un parco, il mio parco, brindisi d'acquavite fatta in cantina e una crostata ai mirtilli impastata in cucina, fa freddo ma come scalda dividerlo, anzi no, non è il mal comune che condiviso supplisce con gaudio, è un piccolo bene che condiviso si eleva a potenza per ogni convitato, lontani dai locali tres chic, dalle luci degli alberi, dalle cene in famiglia, condotti dalle nostre inquietudini a trascorrer la vigilia di Natale per strada, come ogni altro giorno, come ogni altra notte. È lei che ci accoglie quando vogliamo fuggire, combattere, e lei che ci culla quando oscilliamo sconfitti, rifiutati, rifiuti noi siamo e opponiamo, rifiuti ad appartenere a chiunque altro che non sia noi. E tra di noi, ogni singolo appartiene al singolo e si offre, si dona, ma la moltitudine non lo possiede, perchè non siam cose da poter possedere, siamo acqua, se ci tieni in bottiglia prima o poi ci guastiamo, se ci porti in tasca piano piano scorriamo, ti puoi immergere in noi, essere noi, avere noi mai.
Il barbone che dorme per terra non ci fa pena, ci fa specie, come farà a resistere al freddo, chissà, contento lui, contenti tutti, gli versiamo la grappa, gli tagliam la crostata, ben venga, sono piccoli gesti, e non è Natale a istigarli, ma che sia Natale li rende un simbolo, ed a noi i simboli piacciono, perchè un gesto simbolico significa, ed è un significato che da sempre cerchiamo e sfuggiamo. A mezzanotte nascerà Gesù Cristo, ma nessuno udirà il suo vagito, soffocato dai fruscii della carta regalo strappata da televisori grossi come un bambino di vent'anni. Io lo sento che strilla. Vorrei fare qualcosa poiché mi strugge il pianto degli infanti. Non trovo di meglio da fare che un gesto simbolico, che significa. Che sono uno sciocco.
Il gigante ha trovato una macchina sul passo carraio, non può entrare nel box con la sua, cala dall'auto dopo aver strombazzato per bene, io m'avvicino pian piano, in silenzio, l'osservo, bestemmia, con un destro strappa lo specchietto all'auto in divieto, bestemmia di nuovo e affonda una pedata nella portiera. Rimonta in macchina, la sua, infila la retro e poi sgomma in avanti, sposta la vettura in divieto in un cozzar di lamiere, finalmente si apre la via, entra nel passo carraio, cala di nuovo e con il blockster sfonda il parabrezza dell'auto in divieto. Mi avvicino. “Dai”, gli dico, “Hai ragione, è fuori di dubbio, ma è natale, sii” e mi becco un diretto sul naso senza preavviso, vado giù lungo per terra, sento l'odore del sangue che scotta, e non vedo più niente, forse la pioggia che si tramuta in neve, o forse i bagliori del mio fallout cerebrale.
Non so quanto tempo è trasorso quando mi tiro in piedi, sento l'odore del sangue rappreso e la pelle che tira, barcollo per strada seguendo la scia delle mie irrequietudini, sta uscendo la messa, mezzanotte è passata, affronto la folla in senso contrario, entro nel templio, vedo la capanna ed il giaciglio di paglia, vedo il bambino, è appena arrivato, mentre tutti festeggiano lo sollevo e lo copro con la mia giacca, lo porto con me, lo traggo in salvo, lo porto lontano, non è un atto vandalico, non un atto blasfemo, è un gesto simbolico.
Sento l'odore del sangue rappreso e la pelle tirare, mi tocco il naso e sfiorandolo duole, lacrimo quel dolore rigando di gelo il mio viso e le lacrime bruciano nelle fessure solcate dal freddo e, sì, dai cazzotti.
È la notte di Natale ed irrequieto ancora barcollo per strada, due passi per scacciare quella maliconia che suole venir per le feste, il fantasma dei natali passati, lo spettro incombente del natale presente, un natale senza presenti, colmo di assenti. Ritrovo lo spirito in una bottiglia di grappa, mi disgusta ma condividerla con chi te ne offre la rende corroborante, sotto la pioggia scrosciante, nei portici di un parco, il mio parco, brindisi d'acquavite fatta in cantina e una crostata ai mirtilli impastata in cucina, fa freddo ma come scalda dividerlo, anzi no, non è il mal comune che condiviso supplisce con gaudio, è un piccolo bene che condiviso si eleva a potenza per ogni convitato, lontani dai locali tres chic, dalle luci degli alberi, dalle cene in famiglia, condotti dalle nostre inquietudini a trascorrer la vigilia di Natale per strada, come ogni altro giorno, come ogni altra notte. È lei che ci accoglie quando vogliamo fuggire, combattere, e lei che ci culla quando oscilliamo sconfitti, rifiutati, rifiuti noi siamo e opponiamo, rifiuti ad appartenere a chiunque altro che non sia noi. E tra di noi, ogni singolo appartiene al singolo e si offre, si dona, ma la moltitudine non lo possiede, perchè non siam cose da poter possedere, siamo acqua, se ci tieni in bottiglia prima o poi ci guastiamo, se ci porti in tasca piano piano scorriamo, ti puoi immergere in noi, essere noi, avere noi mai.
Il barbone che dorme per terra non ci fa pena, ci fa specie, come farà a resistere al freddo, chissà, contento lui, contenti tutti, gli versiamo la grappa, gli tagliam la crostata, ben venga, sono piccoli gesti, e non è Natale a istigarli, ma che sia Natale li rende un simbolo, ed a noi i simboli piacciono, perchè un gesto simbolico significa, ed è un significato che da sempre cerchiamo e sfuggiamo. A mezzanotte nascerà Gesù Cristo, ma nessuno udirà il suo vagito, soffocato dai fruscii della carta regalo strappata da televisori grossi come un bambino di vent'anni. Io lo sento che strilla. Vorrei fare qualcosa poiché mi strugge il pianto degli infanti. Non trovo di meglio da fare che un gesto simbolico, che significa. Che sono uno sciocco.
Il gigante ha trovato una macchina sul passo carraio, non può entrare nel box con la sua, cala dall'auto dopo aver strombazzato per bene, io m'avvicino pian piano, in silenzio, l'osservo, bestemmia, con un destro strappa lo specchietto all'auto in divieto, bestemmia di nuovo e affonda una pedata nella portiera. Rimonta in macchina, la sua, infila la retro e poi sgomma in avanti, sposta la vettura in divieto in un cozzar di lamiere, finalmente si apre la via, entra nel passo carraio, cala di nuovo e con il blockster sfonda il parabrezza dell'auto in divieto. Mi avvicino. “Dai”, gli dico, “Hai ragione, è fuori di dubbio, ma è natale, sii” e mi becco un diretto sul naso senza preavviso, vado giù lungo per terra, sento l'odore del sangue che scotta, e non vedo più niente, forse la pioggia che si tramuta in neve, o forse i bagliori del mio fallout cerebrale.
Non so quanto tempo è trasorso quando mi tiro in piedi, sento l'odore del sangue rappreso e la pelle che tira, barcollo per strada seguendo la scia delle mie irrequietudini, sta uscendo la messa, mezzanotte è passata, affronto la folla in senso contrario, entro nel templio, vedo la capanna ed il giaciglio di paglia, vedo il bambino, è appena arrivato, mentre tutti festeggiano lo sollevo e lo copro con la mia giacca, lo porto con me, lo traggo in salvo, lo porto lontano, non è un atto vandalico, non un atto blasfemo, è un gesto simbolico.
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