DA DOMANI QUESTO RACCONTO LO TROVATE SU MILANOX, IL FREEPRESS ERETICO!!!!
The Punisher, Authority, frullato con Urania anni '70, annegati nella mia Metropoli.
Ecco un raccontino fresco fresco, buzzatiano, warrenellissiano, fantasie nere...
E presto, qui leggerete anche fumetti!
Dio delle città e dell'immensità
se è vero che ci sei...
P.Bitta
"Così mi ammazzi!" Non era una preghiera. Non un'invocazione. Era una constatazione, e voleva condividerla col suo carnefice, voleva avvisarlo, perché non dovesse pentirsi un giorno, perché avesse la possibilità di scegliere, e scegliendo, condannarsi per sempre o redimersi in anticipo, anzi, forgiarsi, temprarsi, scolpirsi un carattere da non compiangere. E invece continuava. Un calcio alle costole, un suono fratturato, parole soffocate smorzate sulla lingua. Il tacco degli scarponi gialli, gli stessi in cui i ragazzi infilano la tuta, abbattutto sulle mani poggiate a terra. Perché? Era una domanda inutile, superflua, perchè soffriamo? Perché odiamo piangiamo violiamo? Un calcio, un altro, dritto sui denti, il mondo s'appannava, la strada trafficata da troppe luci per definirla davvero notte sulla città, una ragazza, una gonna corta fin sopra le natiche, tacchi alti, trucco pesante, in fondo in quel momento la trovava bella, e allibita dagli eventi.
Stava soltanto attraversando la strada. Di notte, col semaforo verde, una strada ad alto scorrimento, il tratto urbano della superstrada per Como. Attraversava la strada col terrore che quei Nazgul di lamiera gli si avventassero contro, lo artigliassero per portarlo via. Aveva quasi guadato il fiume d'asfalto e metallo e plastica e luci, che a momenti uno di quei mostri lo stirava, lo stendeva, lo investiva. Allargò le braccia in segno di disappunto e paura, tanta paura, e l'auto s'arrestò. Scese un ragazzo. Grosso, ma volgare. Qualcosa di volgare. Sbraitò qualcosa sbagliando i congiuntivi, abbaiò qualcos'altro sottolineando le bestemmie. Dio, si chiese, perché rendi tutto così scontato, perché non mi stupisci più, perchè sono tutti così terribilmente uguali, banali, prevedibili? Guardò il ragazzo mentre la pelle si tingeva d'oca, quello s'avvicinava. Ebbe il tempo d'avvertire la saliva sputacchiata sul volto, di provarne ribrezzo, quando arrivò la testata. Forte, a spiovente, sul naso. Le luci della notte si elevarono a potenza tingendosi di porpora.
Cosa aveva bisogno di capire? Nulla. Non c'è niente da capire nell'essere umano. Eppure raccolse i dati, sciocchi: la prostituta che batteva al semaforo, il ragazzo doveva essersi distratto a guardarla, procedeva lento, per fortuna, forse proprio per caricarla. Forse ora provava vergogna di essere stato colto col pensiero nel peccato, e sfogava la frustrazione per il coito immaginato e interrotto sul malcapitato che stava per investire, ovvero lui. Poveretto, a questo punto gli faceva pure un poco pena. Mentre gli triturava le ossa, lacerava le carni, spappolava gli organi interni a botte, gli faceva un po' pena. Schifo non tanto, schifo gli facevano gli automobilisti che di fronte a tale spettacolo avevano ingranato la prima appena ricevuto il via verdescente, e sgommato. Ebbe pietà, e ripetè: “Così mi ammazzi...”, poteva ancora fermarsi, avere un piccolo ripensamento, rendersi conto di stare esagerando, frenarsi. Due ginocchiate all'arco sopraccigliare sinistro.
Il sangue bagnava la strada, macchiava i gialli scarponi della morte. La puttana era bianca e non era la cipria, abituata a violenza e disgusto, educata a ingoiare per sopravvivere, non vomitò, ma si mise a strillare. Strillava e correva, lontana. Strillava e correva, sotto le ruote di un furgone carico di birra olandese e salsa y merengue lanciato verso il cuore della città. Quale cuore? Quello malato corrotto inquinato, spento, e dannato.
La morte aveva avuto il suo tributo, così allarmato egli ripetè al ragazzo: “Così mi ammazzi...”
Intendeva, attento, così rischi di compiere un'azione che non vorresti mai, che rimpiangerai, che ti divorerà sullo spiedo da kebab del rimorso, che ti sfibrerà come una malattia del sangue, che ti...
Due pugni al cervelletto, alla base della nuca. Il secondo non lo sentì. Morì col primo.
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“Coglione, con chi cazzo credeva d'avere a che fare?” bofonchiò il ragazzo divorando la strada dopo esser tornato fulmineo alla guida, “Che cazzo credeva, gliel'ho fatta vedere, faccia di merda...”
“Eh, già, gliel'hai fatta vedere, già...” assentì il passeggero seduto dietro.
“Gliel'ho fatta vedere sì, a quel testa di cazzo” rispose il ragazzo che pensava di parlare da solo, saturo di adrenalina, e invece conversava con un interlocutore seduto alle spalle, solo che seduto alle spalle non doveva esserci nessuno. Si voltò di scatto: “E tu chi cazzo sei?”
“Non mi riconosci? Forse mi hai sfigurato con tutte le botte che mi hai appena dato? Con tutte le ferite che mi hai inferto? O non mi hai neanche guardato in faccia prima di massacrarmi, tanto poco ti interessava chi fossi? Tanto poco t'importava...”
“Che cazzo vuoi! Che cazzo vuoi! Non ti sono bastate quelle che t'ho dato? Ne vuoi ancora?”
“Non capisci, continui a non capire. Hai ucciso anche quella povera prostituta. Prima volevi possederla, e ora non t'importa più d'averla portata a morte. Eppure t'avevo avvisato. Eppure...”
“Chi cazzo sei! Chi cazzo sei! Come hai fatto a rialzarti? Come hai fatto a infilarti in macchina? Io t'ho steso, non ti reggevi più! Chi cazzo sei?”
“Io sono Metropoli. E sono stanco di nutrire parassiti come te. Sono stanco di sentir contaminarmi il sangue dal male che mi porti. Sono Metropoli, e sono stanco di te.”
L'auto si schiantò contro un lampione, che piegandosi sembrò avvinghiarsi alla sua carcassa di metallo. Le fiamme la invasero immediatamente, e un ululato lacerante le accompagnò finché i pompieri non le domarono. I domatori del fuoco individuarono un cadavere carbonizzato seduto al posto di guida.
Poco più avanti egli attraversava la strada, terrorizzato dalle auto in corsa e da chi le guidava. E dalla mole di lavoro ancora da sbrigare.
“Coglione, con chi cazzo credeva d'avere a che fare?” bofonchiò il ragazzo divorando la strada dopo esser tornato fulmineo alla guida, “Che cazzo credeva, gliel'ho fatta vedere, faccia di merda...”
“Eh, già, gliel'hai fatta vedere, già...” assentì il passeggero seduto dietro.
“Gliel'ho fatta vedere sì, a quel testa di cazzo” rispose il ragazzo che pensava di parlare da solo, saturo di adrenalina, e invece conversava con un interlocutore seduto alle spalle, solo che seduto alle spalle non doveva esserci nessuno. Si voltò di scatto: “E tu chi cazzo sei?”
“Non mi riconosci? Forse mi hai sfigurato con tutte le botte che mi hai appena dato? Con tutte le ferite che mi hai inferto? O non mi hai neanche guardato in faccia prima di massacrarmi, tanto poco ti interessava chi fossi? Tanto poco t'importava...”
“Che cazzo vuoi! Che cazzo vuoi! Non ti sono bastate quelle che t'ho dato? Ne vuoi ancora?”
“Non capisci, continui a non capire. Hai ucciso anche quella povera prostituta. Prima volevi possederla, e ora non t'importa più d'averla portata a morte. Eppure t'avevo avvisato. Eppure...”
“Chi cazzo sei! Chi cazzo sei! Come hai fatto a rialzarti? Come hai fatto a infilarti in macchina? Io t'ho steso, non ti reggevi più! Chi cazzo sei?”
“Io sono Metropoli. E sono stanco di nutrire parassiti come te. Sono stanco di sentir contaminarmi il sangue dal male che mi porti. Sono Metropoli, e sono stanco di te.”
L'auto si schiantò contro un lampione, che piegandosi sembrò avvinghiarsi alla sua carcassa di metallo. Le fiamme la invasero immediatamente, e un ululato lacerante le accompagnò finché i pompieri non le domarono. I domatori del fuoco individuarono un cadavere carbonizzato seduto al posto di guida.
Poco più avanti egli attraversava la strada, terrorizzato dalle auto in corsa e da chi le guidava. E dalla mole di lavoro ancora da sbrigare.